PRESENTAZIONE DI GESU’ AL TEMPIO

02 Feb

PRESENTAZIONE DI GESU’ AL TEMPIO

«UN FIGLIO APPARTIENE A DIO,
NON AI GENITORI!» 

 

PRESENTAZIONE DI GESÙ AL TEMPIO

Anno A

Colore liturgico BIANCO

 

CANTO DEL VANGELO (Lc 2,30.32)
Alleluia, Alleluia

I miei occhi hanno visto la tua salvezza:
luce per rivelarti alle genti
e gloria del tuo popolo, Israele.

Alleluia.

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VANGELO (Lc 2,22-40)
I miei occhi hanno visto la tua salvezza.

 

+ Dal Vangelo secondo Matteo

Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.
Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore.

Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:
«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo
vada in pace, secondo la tua parola,
perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli:
luce per rivelarti alle genti
e gloria del tuo popolo, Israele».

Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».
C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.

 

Parola del Signore

Lode a te o Cristo

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COMMENTO di P. Ermes Ronchi      

«UN FIGLIO APPARTIENE A DIO,
NON AI GENITORI!»


Maria e Giuseppe portarono il Bambino a Gerusalemme, per presentarlo al Signore. Una giovanissima coppia, col suo primo bambino, arriva portando l’offerta dei poveri, due tortore, e il più prezioso dono del mondo: un bambino.

Sulla soglia, due anziani in attesa, Simeone e Anna. Attendevano, dice Luca, il compimento delle promesse, cioè la consolazione d’Israele e la redenzione di Gerusalemme.
Non sono i sacerdoti ad accogliere il bambino, ma due “laici” senza ruoli ufficiali nel tempio, due persone con occhi velati dalla vecchiaia e dalle vicissitudini della vita, ma con il cuore ancora acceso di speranza in Dio. E lei, Anna, è la terza profetessa del Nuovo Testamento, dopo Elisabetta e Maria.

In quel bambino, Simeone e Anna sanno riconoscere la Luce capace di abbattere gli steccati e riconciliare l’umanità con Dio, con se stessa e col mondo.

È Dio che si incarna nelle creature, nella vita che finisce e in quella che fiorisce. «È nostro, di tutti gli uomini e di tutte le donne. Appartiene agli assetati, ai sognatori, come Simeone; a quelli che sanno vedere oltre, come Anna; a quelli capaci di incantarsi davanti a un neonato, perché sentono Dio come futuro e come vita» (M. Marcolini).

Simeone pronuncia una profezia di parole immense su Maria, tre parole che attraversano i secoli e raggiungono ciascuno di noi: il bambino è qui come caduta e risurrezione, come segno di contraddizione perché siano svelati i cuori. “Caduta”, è la prima parola. «Cristo, mia dolce rovina» canta padre Turoldo, che rovini non l’uomo ma le sue ombre, la vita insufficiente, la vita morente, il nostro mondo di maschere e di bugie, la nostra vita di illusioni. “

Segno di contraddizione”, la seconda parola. Lui che contraddice le nostre vie con le sue vie, i nostri pensieri con i suoi pensieri, la falsa immagine che nutriamo di Dio con il volto inedito di un abbà dalle grandi braccia e dal cuore di luce, contraddizione di tutto ciò che contraddice l’amore.
Egli è qui “per la risurrezione”, è la terza parola: per lui nessuno è dato per perduto, nessuno finito per sempre, è possibile ricominciare ed essere nuovi. Sarà una mano che ti prende per mano, che ripeterà a ogni alba ciò che ha detto alla figlia di Giairo: talità kum, bambina alzati! Giovane vita, alzati, levati, sorgi, risplendi, riprendi la strada e la lotta. Tre parole che danno respiro alla vita.

Festa della presentazione. Il bambino Gesù è portato al tempio, davanti a Dio, perché non è semplicemente il figlio di Giuseppe e Maria: «i figli non sono nostri» (Kalil Gibran), appartengono a Dio, al mondo, al futuro, alla loro vocazione e ai loro sogni, sono la freschezza di una profezia non solo biologica. A noi spetta salvare, come Simeone ed Anna, almeno la speranza nelle promesse della Vita, di Dio.