Dieci minuti con se stessi – argomento: “IL CALABRONE FERITO”
IL CALABRONE PRIGIONIERO
Un calabrone è entrato nella mia stanza, è andato a battere velocemente contro la lampada, le pareti, i mobili. Il rumore secco delle sue zuccate faceva crepitare il silenzio. Dopo un po’ si è acquattato per riprendere le forze, ha ricominciato contro la lampada, e stamattina era ancora lì, secco, leggero, morto.
Ennio Flaiano
La riflessione di oggi
Dal cielo di Marte approda nel galoppatoio di Villa Borghese un’astronave. Ne esce un marziano che s’incammina per la città, incontrando e stupendo gli umani. Il titolo del racconto, divenuto poi un testo teatrale, è appunto Un marziano a Roma (1960) e reca nelle sue pagine l’impronta pessimistica del suo autore, lo scrittore e giornalista Ennio Flaiano. È Kunt, il marziano, a trasformare in un simbolo la vicenda del calabrone prigioniero nella sua stanza. E la conclusione è affidata a una domanda amara che egli rivolge a un personaggio terrestre del racconto: «Ha mai pensato lei che la Terra potrebbe essere l’inferno di un altro pianeta?».
Altro che essere il centro dell’universo; il nostro piccolo mondo è una specie di prigione dove «tutto è inganno, anche la mia verità, anche la dolcezza» dell’amore. Ci agitiamo come quel calabrone, tentiamo di evadere con l’illusione, con la superficialità, coi narcotici del piacere, del potere, del possesso. Anche Kunt alla fine resterà imprigionato quaggiù perché la sua astronave sarà sequestrata. Eppure non dobbiamo rassegnarci: le porte del carcere possono essere aperte con la ragione e la fede, e il cielo dello spirito può ancora aprirsi davanti a noi, anche se dopo una faticosa lotta dalla quale si esce ammaccati ma vivi. A differenza del calabrone, noi siamo infatti in grado di aprire nella vita – come dice un aforisma orientale – «almeno una finestrella attraverso la chiave della speranza».
Testo tratto da: G. Ravasi, Breviario laico, Mondadori