Dieci minuti con se stessi – argomento: “VENDETTA, TREMENDA VENDETTA!”
VENDETTA, TREMENDA VENDETTA!
Non c’è nobiltà senza generosità d’animo. Non c’è brama di vendetta senza volgarità.
Joseph Roth
La riflessione di oggi
«Sì, vendetta, tremenda vendetta di quest’anima è solo desio…»: chi non ricorda il grido del Rigoletto verdiano? Il vendicarsi ha ricevuto purtroppo una sorta di avallo paludato in non poche pagine letterarie, a partire dalla stessa classicità (si pensi all’epopea dell’Iliade che si regge sostanzialmente su una rappresaglia). La piccola ripicca come la terribile faida mafiosa si consumano con un gusto primitivo e brutale. Non di rado certe nostre scelte o azioni risentono, in fondo in fondo, del sapore della rivalsa su una vera o presunta offesa ricevuta. Anche quando non si arriva alla ritorsione plateale, si custodisce nel cuore, ben alimentata, la memoria indignata dell’eventuale oltraggio subito.
Che la vendetta nasca non da un animo alto e potente, bensì da uno spirito meschino, piccolo e volgare ce lo ripete, invece, nella duplice frase sopra citata un importante scrittore ebreo austriaco, Joseph Roth (1894-1939), cantore del tramonto del mondo asburgico con la sua famosa Marcia di Radetzky e La cripta dei Cappuccini. Sarà pur dolce la vendetta, soprattutto quando è servita come un piatto freddo, secondo il ben noto proverbio; ma essa non è segno di nobiltà e grandezza umana. La persona autentica sa reprimere la violenza della reazione e conosce piuttosto la generosità del perdono, ben più incisivo della bufera di una rivalsa furente. Lo scrittore moralista francese La Rochefoucauld, che spesso abbiamo evocato, non esitava nelle sue Massime ad annotare che «la vendetta procede sempre dalla debolezza dell’animo, incapace di sopportare un ingiuria». Altro che segno di forza e di rigore!
Testo tratto da: G. Ravasi, Breviario laico, Mondadori